Camelia e Mario

Camelia, l’unica figlia femmina di Nissim e Matilde, al momento dell’arresto aveva diciassette anni. Di lei rimangono alcune lettere inviate ad un giovane, Mario, che lei aveva conosciuto in corriera, durante i quotidiani spostamenti da Savigno a Bologna, che percorreva sui mezzi pubblici per frequentare le lezioni scolastiche, organizzate presso la comunità ebraica in via de’ Gombruti.

Con Mario, Camelia aveva appena intrecciato una giovanile storia d’amore, che il suo arresto e la deportazione interruppero per sempre. Le poche lettere che i giovani si scambiarono in quel breve periodo di tempo, Mario nel dopoguerra le fece avere alla famiglia Matatia. Esse bastano però a restituirci uno spaccato molto significativo di cosa avesse in animo e di come vivesse la sua condizione un’ adolescente, ebrea per nascita e appartenenza familiare, che subiva la persecuzione nazifascista per questo solo fatto (l’appartenenza alla “razza” ebraica), vissuto come uno “stigma”, un marchio, una macchia indelebile, tale da condizionare percezione di sè, vissuto quotidiano, proiezione verso il futuro, progettualità esistenziale, a prescindere dalla propria volontà.

Camelia Matatia. Foto CDEC.
Camelia Matatia. Foto CDEC.http://digital-library.cdec.it

 

In una lettera datata 1° dicembre 1943, giorno dell’arresto, Camelia scrive “Caro Mario, questa volta devo io scriverti una lettera d’addio, perché non so quando potrò riscriverti e se lo potrò fare ancora. Scusa anche se venerdì non potrò venire, ma chissà dove sarò”.[1]

Camelia lucidamente è consapevole di non essere in grado di prevedere ciò che le sarà da ora in poi riservato.

So di non aver nulla da rimproverarmi se non di essere nata con un marchio disgraziato. Un marchio che nemmeno la scolorina del tempo potrà mai cancellare.(…) I nostri poveri occhi umani hanno una vista breve, limitata nello spazio, ma ancor più nel tempo. Non sappiamo quel che ci aspetta domani e nemmeno tra cinque minuti…” (2)

Oltre alle poche lettere, di lei rimangono alcune foto, che la ritraggono sorridente in vacanza, la matricola d’ingresso in carcere con la sua firma ed alcune richieste da lei avanzate alle autorità di reclusione, con cui secondo i canoni del linguaggio burocratico chiedeva di effettuare la “spesa di sopravvitto”, cioè quelle spese personali aggiuntive, rispetto a quanto fornito dall’istituzione carceraria, che erano concesse ai detenuti in grado di pagarle, che lei avanzò e sottoscrisse il 14 dicembre 1943, mentre ancora si trovava detenuta a Bologna. Inoltre il suo fascicolo personale all’Archivio di Stato di Bologna conserva il documento di affido in deposito dei suoi averi a Suor Maria Pierina Frascari, la superiora delle suore che erano impegnate nell’assistenza alle detenute della sezione femminile nelle Carceri giudiziarie cittadine di San Giovanni in Monte.

Nient’altro.

La richiesta di Camelia di effettuare le spese di sopravvitto. Archivio di Stato di Bologna
La richiesta di Camelia di effettuare le spese di sopravvitto. Archivio di Stato di Bologna.

 

L’elenco dei beni depositati in carcere da Camelia. Archivio di Stato di Bologna
L’elenco dei beni depositati in carcere da Camelia. Archivio di Stato di Bologna.

 

[1] Da “1 dicembre 1943-la testimonianza vive ancora” di Ilaria Matatia, su www.liceotorricelli.it

(2) la lettera completa è oggi pubblicata su http://resistenzamappe.it/forli/fc_ebrei/fc_pellicceria_matatia#fc_pellicceria_matatia-2

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