In salvo.

Mentre gli ostaggi erano tenuti a Ca’ Corsi, i 4 militi raggiunsero la casa di Clotilde Reggianini a Montalto di Montese, dove avevano trascorso la notte i coniugi Matatia e la loro amica, ma non li trovarono. Bussarono allora anche alla casa di Amilcare Lucchi, che non c’era proprio perché si era allontanato poco prima per accompagnare via da Montalto i tre ebrei, Leone ed Evelyn Matatia con la loro amica.

I militi scorsero in mezzo ai boschi delle persone che scendevano lungo i dirupi di Sottosasso, intimarono loro l’alt, ma poiché nessuno si fermò, spararono alcuni colpi, che in effetti colpirono di striscio Leone Matatia, staccandogli il pon pon di lana dal passamontagna che indossava, che la moglie gli aveva finito di confezionare il giorno prima, secondo le testimonianze raccolte da Bellisi tra la gente del luogo.

Ostacolati dalle asperità del sentiero e le donne dalle calzature inadatte, riuscirono comunque a raggiungere faticosamente la strada di collegamento tra Semelana e Rosola, poi si dileguarono alla vista, entrando nella galleria della sorgente d’acqua di Semelano. I militi continuarono a cercarli finché capirono di dover rinunciare e tornarono a Montalto vecchio, dove rastrellarono altri abitanti dalle case, portandoli a Ca’ Corsi per riunirli agli altri già tenuti sotto minaccia.

La chiesa di Rosola.
Veduta della chiesa di Rosola in una foto dei nostri giorni.

 

Infine, furono rilasciati tutti, tranne Agata Reggianini, trattenuta a Ca’ Corsi di giorno e riportata in canonica la sera, per circa una settimana. Fino a che fu rilasciata anche lei con l’annuncio che il giorno dopo sarebbero ripassati per portarla in carcere a Bologna. Cosa che tuttavia non si verificò.

Anni dopo, il quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia ricostruì gli episodi di violenza cui fu sottoposta la popolazione in un articolo non firmato, pubblicato il 6 agosto 1965.

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