Leone ed Evelyn

E Leone ed Evelyn ?

La loro storia, per come siamo stati in grado di ricostruirla fino ad ora, contiene ancora più zone d’ombra, più periodi in cui è difficile stabilire o precisare dove fossero e in quali condizioni vivessero.

E’ probabile che, fino al provvedimento di residenza coatta a Casalecchio, essi abbiano vissuto semplicemente a casa loro a Bologna, come tanti altri ebrei non “in regola”, e che magari solo in seguito ad un casuale accertamento per strada dei documenti siano stati individuati come stranieri. Ma questa è solo un’ipotesi. Un’altra ipotesi è che, nascosti, possano essere stati denunciati, anche questo capitò a tanti.

A Casalecchio rimasero sicuramente fino alla primavera del ‘42, quando sottoscrissero le due autodichiarazioni (vedi §. 4.1. ). Poi, dal marzo ’42 all’autunno del ’43 noi non abbiamo riscontri documentari della loro presenza. Sappiamo invece attraverso le testimonianze raccolte da Walter Bellisi (1), suffragate anche da alcune foto e documenti, che nel tardo autunno del ’43 si trovavano anch’essi a Savigno, nello stesso paese cioè dove rimasero fino al novembre/ dicembre 1943 anche Matilde Hakim, moglie di Nissim, e i figli di Nissim, Beniamino, Roberto e Camelia.

Naturalmente non può trattarsi di una coincidenza. Significa che le due famiglie mantenevano le relazioni, forse avevano concordato insieme di stabilirsi in quel luogo, data anche la stretta parentela che le legava, probabilmente avevano condiviso i contatti che le avevano portate a trovare rifugio fin lì. Può anche darsi che in realtà Matilde, Camelia, Nino e Roberto abbiano raggiunto Savigno, perché già c’erano Leone ed Evelyn o viceversa, se davvero fu la famiglia di Nissim la prima ad abbandonare Bologna. Purtroppo, allo stato attuale delle ricerche non lo possiamo affermare con certezza, perché non possediamo documenti.

Savigno negli anni trenta.
Savigno negli anni trenta.

 

Nel corso del ’43 ed ancor più dopo, in Alta Italia esistevano in effetti –come abbiamo già detto altrove- reti solidali che garantivano ad ebrei, ma anche ad altri perseguitati dal regime, di percorrere canali clandestini che consentissero loro di allontanarsi dal pericolo di identificazione e cattura e li portassero in salvo al sud, nelle zone già controllate dagli alleati, oppure all’estero, soprattutto in Svizzera.

Esisteva poi un’ organizzazione, come la Delasem (vedi scheda), che in questi anni, dopo un lungo periodo di attività svolta alla luce del sole ed anche col beneplacito del regime,  continuò ad operare segretamente per garantire vie di fuga proprio solo per gli ebrei in difficoltà in Italia.

Comunque, una di queste reti (non sappiamo se collegata o meno con la Delasem) faceva capo a Don Aurelio Reggianini, uno dei tanti parroci che tra Bologna e Modena aiutarono ebrei, renitenti alla leva, partigiani e fuggiaschi. Di alcuni di questi preti coraggiosi ed illuminati, molti residenti nel Modenese, abbiamo parlato anche nell’altro lavoro presente in questo sito, Le fucilazioni al poligono di tiro di Bologna, tra il ’43 ed il ’45, nei §§. (vedi)

Don Aurelio Reggianini era un prete come Don Arrigo Beccari, Don Zeno Saltini, Don Ivo Silingardi, Don Ennio Tardini, e tanti altri che a rischio personale aiutarono chi aveva bisogno di nascondersi, di fuggire, di trovare riparo altrove.

Don Reggianini.(1)
Don Reggianini.(1)

 

Priore di Montespecchio di Montese, arciprete di Montetortore di Zocca, Don Aurelio coinvolse nella sua opera di soccorso agli ebrei e agli sfollati anche la sorella Clotilde e i nipoti, Bernardino Reggianini, che fu partigiano nel modenese, Ezio e Zaira Reggianini, oltre che il proprio cappellano, Don Ugo Credi.

(1)Walter Bellisi La persecuzione antiebraica nel modenese e nell’Alta Valle del Reno (BO) 1943-1945.Edizioni Il Fiorino.2008.

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