Scatta la rappresaglia

Nella notte dell’attentato a Facchini si riunì il Tribunale militare di guerra, convocato d’urgenza dal Comando Militare regionale. Era presieduto dal generale della GNR Ivan Doro e composto dai tenenti colonnelli Roberto Morelli e Umberto Petroncini, mentre fungeva da pubblico accusatore l’avvocato Giovan Battista Cosimini.

Furono processati dieci uomini, scelti tra gli antifascisti in quel momento detenuti nelle carceri di Imola e di Bologna : gli imolesi prelevati dal carcere della Rocca furono i fratelli Alfredo e Romeo Bartolini, Sante Contoli, il minorenne Antonio Ronchi, il professore di violoncello Alessandro Bianconcini, il primario dell’Ospedale Civile, prof. Francesco D’Agostino ; i bolognesi scelti a San Giovanni in Monte furono il Console della milizia Silvio Bonfigli, Cesare Budini, Zosimo Marinelli, il giornalista de Il Resto del Carlino Ezio Cesarini, il grande invalido e Medaglia d’oro Luigi Missoni.

Si applicavano così le disposizioni inviate il 3 novembre da Pavolini, che fin dalle prime azioni terroristiche già ricordate, aveva ordinato di «procedere all’immediato arresto degli esecutori materiali o dei mandanti morali degli assassini di fascisti repubblicani ogni volta che l’uccisione si verifichi » precisando che per «mandanti morali intendo i nemici dell’Italia e del Fascismo responsabili dell’avvelenamento delle anime e delle connivenze con l’invasore. Il fascismo repubblicano non fa rappresaglie, ma giustizia e soffocherà con energia ogni criminoso attentato di guerriglia civile da parte degli emissari del nemico ».

Alessandro Pavolini.
Alessandro Pavolini.

 

Le disposizioni di Pavolini, inoltre, stabilivano che i Tribunali straordinari, previsti dalle leggi speciali del tempo di guerra, avrebbero dovuto essere nominati entro 24 ore, giudicare e immediatamente passare per le armi i colpevoli.

La sentenza fu emessa in assenza degli imputati e dei loro avvocati difensori.

La posizione di Antonio Ronchi fu stralciata a causa dell’età; delle dieci condanne a morte decretate dal Tribunale militare di guerra ne furono però eseguite solo otto: per Luigi Missoni, Medaglia d’oro al valore, e per Sante Contoli ci fu la sospensione della pena di morte e la sua tramutazione in 30 anni di reclusione. Missoni fu trasferito nel carcere di Castelfranco Emilia, dove comunque trovò la morte il 17 settembre dello stesso anno, a causa di un bombardamento. Contoli fu internato nel lager di Mauthausen (Austria), dove morì il 30 aprile 1945.

Matricola in entrata al carcere di San Giovanni in Monte di Antonio Ronchi. Nostra foto.
Matricola in entrata al carcere di San Giovanni in Monte di Antonio Ronchi. Nostra foto.
Matricola in uscita di Antonio Ronchi dal carcere di Bologna. Foto Monica Bergamaschi.
Matricola in uscita di Antonio Ronchi dal carcere di Bologna. Foto Monica Bergamaschi.

 

Luigi Missoni
Luigi Missoni
La fucilazione del 27 gennaio 1944
Sante Contoli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.3.1. Le reazioni fasciste

Benchè la convocazione del Tribunale speciale, voluta dal ministro Alessandro Pavolini, fosse stata immediata e fossero stati presi durissimi provvedimenti, con le condanne a morte di sette detenuti e lunghe pene detentive per altri due, fu evidente a tutti che ad esserne colpiti erano stati certamente dei nemici del fascismo repubblichino, ma non i veri colpevoli dell’attentato, dato che tutti i condannati erano in carcere (spesso da parecchio tempo) al momento dell’uccisione di Facchini.

Matricola in entrata al carcere di San Giovanni in Monte di Contoli Sante. Foto Monica Bergamaschi.
Matricola in entrata al carcere di San Giovanni in Monte di Contoli Sante. Foto Monica Bergamaschi.
Matricola in uscita dal carcere di San Giovanni in Monte di Contoli Sante. Foto Monica Bergamaschi.
Matricola in uscita dal carcere di San Giovanni in Monte di Contoli Sante. Foto Monica Bergamaschi.

 

La città venne tappezzata di manifesti destinati a condannare l’accaduto, ma anche a sollecitare la delazione della popolazione, nel tentativo di individuare i responsabili, mediante la promessa di pagare una generosa ricompensa a chi avesse aiutato a catturarli.

Il manifesto diffuso dalla Federazione fascista il giorno stesso dell'attentato a Facchini- Istituto Parri.
Il manifesto diffuso dalla Federazione fascista il giorno stesso dell’attentato a Facchini- Istituto Parri.
Il manifesto con la taglia per gli attentatori di Facchini-Istituto Parri.
Il manifesto con la taglia per gli attentatori di Facchini-Istituto Parri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.3.2. I sospettati

Un generale clima di sospetto nell’opinione pubblica si estese a comprendere ambienti politici diversi ed opposti.

Innanzitutto il campo fascista: “subito dopo il grave fatto, furono fatte circolare ad arte voci secondo le quali a sparare contro il federale sarebbe stato il suo vice, per una specie di faida fra uomini della stessa idea politica” (1), tanto che lo stesso Walter Boninsegni ricordò (nella lettera già citata al § 3.1.2.) : “I commenti non mi furono favorevoli, naturalmente in ambiente antifascista. Si disse che ero un tiratore, in possesso di armi sicure e di precisione, che sparavo e l’arma si inceppava, non colpendo nessuno (il ferimento del Pasquali venne fuori in seguito). Si disse che Facchini lo avevo ucciso io. Per ultimo circolò la voce che ero stato fucilato. (…)”(1)

Anche Gabriele Boschetti, che ai tempi dell’attentato era segretario della Federazione giovanile socialista clandestina, amico e compagno di studi di Facchini, che lo ricontattò proprio dopo il 25 luglio ’43 per abboccamenti politici che sembravano preludere ad un avvicinamento ai socialisti da parte del giovane ex direttore di “Architrave”, a proposito dell’attentato affermò: “Noi giovani socialisti eravamo orientati ad attribuirne la responsabilità a Walter Boninsegni, che risultava avesse condotto in macchina Facchini davanti al portone della casa dello studente. Boninsegni, ex campione olimpico di tiro rapido alla pistola, sarebbe stato benissimo in grado di centrare nello spazio di un pugno ben cinque pallottole nella schiena di Facchini.”(2)

Ma anche lo stesso Boschetti, e con lui altri del suo partito, furono sospettati di essere responsabili della morte del Federale, a causa dei contatti che Facchini aveva preso con loro poco prima della sua nomina, per paura che egli potesse tradirli : (2)“ La notizia dell’uccisione di Facchini mi sconvolse sia perché, malgrado tutto, avevo sempre conservato dell’affetto sincero per Eugenio, sia perché era facile prevedere quali avrebbero potuto essere le reazioni anche a mio carico. Infatti, in seguito, dei miei conoscenti, che avevano aderito alla repubblica di Salò, mi riferirono che uno dei nomi presi in considerazione come mandante, o corresponsabile della morte di Facchini, era il mio; ma, fortunatamente per me, amici comuni miei e di Facchini avevano escluso categoricamente che avessi mai potuto neanche concepire una faccenda del genere data l’amicizia che ci legava (ed altrettanto garantivano per Floriano Bassi.”-parentesi aggiunte da noi).

Quella sopra è la affermazione completa, presente nella testimonianza di Boschetti pubblicata in (2). Dalla citazione in (1) manca in realtà l’ultima parte, che noi abbiamo contrassegnato con le parentesi, riferita a Floriano Bassi. Forse che in ambiente fascista le conclusioni su Boschetti non furono estese anche a Floriano Bassi ? Certo è che sulla fine di Bassi, trovato cadavere nell’ estate del ’44 nei pressi di via Azzogardino, sono state formulate molte ipotesi diverse e anche solo questa piccola cesura nella testimonianza di Boschetti può forse confermare i sospetti che hanno sempre additato nella pista nera la spiegazione sulla sua fine.

Boschetti concludeva poi il discorso sulla morte di Facchini affermando : “Negli ambienti del partito socialista, in un secondo tempo, circolò invece la notizia che l’esecuzione di Facchini era stata decisa dal partito comunista per dare il via alla lotta per la quale si sentiva già preparato. Questa seconda versione risulterà esatta.”

3.3.3. Gli obiettivi del partito comunista

Il partito comunista, con la morte di Facchini, ottenne :

-di dividere il campo avversario, creando screzi e fratture all’interno dei fascisti stessi, tra fascisti e nazisti, sempre più diffidenti gli uni verso gli altri, acuendo la sensazione di inaffidabilità dei fascisti agli occhi dei nazisti;

-inoltre ruppe in via definitiva qualunque ricerca di dialogo intavolato tra forze moderate del fascismo e partito socialista su un comune terreno di sensibilità sociale;

– innalzò il livello dello scontro, mostrando che il PCI era pronto alla Resistenza anche sul piano della lotta armata.

 

(1) In “Eugenio Facchini, 45 anni dopo l’uccisione”, articolo di C. Barilli, pagg. 2-3, sul n. 3, anno III (settembre-novembre 1989) del bimestrale ACTA, periodico dell’Istituto Storico della Repubblica Sociale Italiana.

(2) Dalla testimonianza di Gabriele Boschetti in La Resistenza a Bologna di Luciano Bergonzini , vol. V, pagg. 834-838, cit. in (1)

 

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