Don Natale Monticelli

Non aveva ancora compiuto trentatré anni, Don Natale Monticelli, quando fu fucilato dalle SS tedesche al Poligono di tiro di Bologna il 20 Settembre 1944, insieme a Don Ildebrando Mezzetti ed altre (forse) dieci persone.

Era stato ordinato sacerdote a 23 anni, il 14 marzo del 1935, e dal ‘39 era parroco di Monzone, una piccola frazione di Pavullo nel Frignano, il paese situato sulle montagne dell’Appennino modenese, dove egli era nato il giorno dell’Immacolata, l‘8 dicembre, del 1911 da Tertulliano e Leopolda Ghibellini.

Don Natale Monticelli
Collocazione di Monzone e Pavullo nel Frignano

 

Lì, giovane tra altri giovani, era divenuto punto di riferimento e sostegno di tanti ragazzi del territorio, alle prese con scelte difficili. Dice in proposito Ilva Vaccari che egli “condivise subito la loro opposizione al neofascismo, all’occupazione tedesca, al rifiuto di rispondere alle leve della Repubblica di Salò.”

Fu perciò lui a prendere contatto con il comandante di tutte le forze partigiane della montagna, il mitico “Armando” nome di battaglia di Mario Ricci (oltre che della sua divisione), come Ricci stesso ha testimoniato, convogliando verso i gruppi della Resistenza locale tutti coloro che, chiamati dalle leve della Repubblica Sociale o richiamati alle armi, non intesero rispondere a quegli appelli.

Don Natale Monticelli
Collocazione di Pavullo nel Frignano e Montefiorino.

 

Nella seconda metà dell’agosto ’44 il comprensorio territoriale, in cui sono ancor oggi incastonati Monzone e Pavullo, si trovò al centro di alcuni eventi cruciali che finirono per investirlo di riflesso, primo fra tutti la caduta della Repubblica di Montefiorino, sorta a qualche crinale montuoso di distanza ad ovest.

7.8.1. La Repubblica di Montefiorino.

 La Repubblica di Montefiorino, costituitasi tra il 17 giugno e il 1° agosto del ’44 nella sua I fase, fu una delle prime “zone libere”, nelle quali i partigiani riuscirono -seppur temporanemente- a sgombrare il territorio dalla presenza delle forze di occupazione tedesche e dai militi della Repubblica collaborazionista di Salò nel corso del 1944.

Altre zone libere furono ad esempio la repubblica partigiana del Corniolo, la prima a formarsi nell’inverno a cavallo tra il ’43 e il ’44 sull’Appennino forlivese, quella di Bobbio, nell’alta Val Trebbia, tra il luglio e l’agosto del ’44, o ancora la Repubblica dell’Ossola, forse la più conosciuta, sorta tra il settembre e l’ottobre del ‘44. In tutto furono circa ventuno questi territori liberati, che rappresentarono contemporaneamente l’occasione per le forze partigiane di meglio organizzare le proprie capacità di lotta e i metodi della guerriglia, quindi di accreditarsi anche agli occhi delle forze alleate, ma dettero pure l’occasione per attuare le prime esperienze di democrazia amministrativa e politica.

La Repubblica di Montefiorino
La mappa delle repubbliche partigiane, collocate tutte nel Centro-nord Italia

 

La Repubblica di Montefiorino offrì un momentaneo approdo a tutti coloro che, in fuga, cercavano scampo dalle minacce nazifasciste e divenne rifugio di sbandati, disertori e renitenti, ma anche di popolazione spaventata e colpita. In vista della costruzione del futuro stato nazionale, destinato a sorgere dalla lotta di Liberazione, subito si propose anche come laboratorio di sperimentazione di nuove forme di rappresentatività democratica mediante l’elezione diretta dei sindaci dei paesi e delle frazioni sotto il suo controllo, in un’area estesa per oltre 600 Kmq e abitata da circa 50.000 persone, comprendendo -oltre a Montefiorino- i comuni di Palagano, Frassinoro, Polinago nel modenese e Toano, Villaminozzo, Ligonchio nel reggiano.

La Repubblica si trovò ad accogliere un numero inaspettato ed esorbitante di rifugiati, che in diversi casi faticarono a inserirsi ordinatamente e disciplinatamente nelle file della lotta resistenziale e ciò provocò ripercussioni sulla coesione e l’efficienza dei gruppi partigiani, costringendo anche ad azioni di controllo e di polizia.

Tuttavia, tra il 30 luglio ed il 3 agosto, dopo un periodo di relativa stasi e di tregua, i tedeschi lanciarono una controffensiva antipartigiana con l’operazione denominata “Wallenstein III, che grazie all’impiego di truppe corazzate, determinarono la caduta della Repubblica, lo sfaldamento dei vari gruppi partigiani, che, ricevuto l’ordine di sganciamento, si dispersero e ripiegarono nelle zone circumvicine e nelle valli limitrofe

La Repubblica di Montefiorino
I comuni su cui si estese la Repubblica di Montefiorino- Museo della repubblica di Montefiorino

 

anche alla spicciolata, cercandovi nascondiglio e riparo. I combattimenti tra tedeschi e forze antifasciste si prolungarono per oltre una settimana perché tra i partigiani, nonostante gli ordini, ci fu chi volle resistere e continuò a combattere e gli strascichi degli scontri finirono per riverberarsi anche su zone non direttamente coinvolte nell’esperienza della Repubblica di Montefiorino, non solo sulle montagne, ma anche in pianura.

7.8.2.  L’arresto di Don Monticelli e l’occupazione di Monzone.

Inoltre anche dopo, nel corso di tutto il mese di agosto, le truppe tedesche e repubblicane furono impegnate nell’opera di ricerca e individuazione dei partigiani transfughi da Montefiorino e non. In questo contesto, si giunse a quella resa dei conti tanto perseguita dai Tedeschi nei confronti dei “banditen”, che determinerà innumerevoli lutti pressochè contemporaneamente sull’Appennino Tosco-Emiliano.

Negli stessi giorni della contigua strage di Vinca (24-27 agosto ’44), durante i quali il maggiore Walter Reder con la Aufklärungs-Abteilung 16 (“Reparto esplorante 16”) della 16. Panzergrenadier- Division “Reichsführer-SS” fece le prove per la strage di Marzabotto con un mese circa di anticipo, lasciando dietro di sé 174 persone trucidate, donne bambini nemmeno ancora nati,  un’altra compagnia tedesca, la Lehrstab für Bekämpfung von der Armee-Scuola di addestramento per la lotta alle bande, comandata dal capitano Volker Seifert, di stanza a Fanano, a seguito di una spiata, il 25 agosto 1944, effettuò un rastrellamento a Monzone, dove era stata segnalata la presenza di un gruppo partigiano.

L’arresto di Don Monticelli e l’occupazione di Monzone
Don Natale Monticelli, da www.bibliotecapersicetana.it

 

I tedeschi si diressero alla canonica, dove Don Monticelli si stava vestendo per le orazioni del mattino e catturarono il sacerdote. Don Monticelli aveva infatti offerto ricovero e soccorso materiale a diversi giovani, che erano stati sistemati nei pagliai delle cascine attorno, protetti dalla comunità.  Mentre il parroco veniva strappato all’altare e portato via, un renitente della classe 1921, Marino Donati di Pavullo, della brigata “Adelchi Corsini”, nome di battaglia “Novello”, scoperto, si dette alla fuga, ma rimase ucciso. Il rastrellamento proseguì e portò all’individuazione di una casa, in cui aveva preso stanza un gruppo di partigiani della brigata “Scarabelli”, che tuttavia riuscirono a dileguarsi. Mentre la casa veniva incendiata, solo uno dei ribelli venne acciuffato, il giovanissimo Ivo Camatti, del 1927, dunque di 17 anni,  che fu fucilato sul posto e il cui corpo fu gettato tra le fiamme.

I tedeschi fecero una ventina di prigionieri, prevalentemente civili, abitanti del luogo, che col parroco vennero trascinati verso Pavullo. Durante il trasferimento, le truppe tedesche furono attaccate da partigiani, forse gli stessi fuggiti, ma nello scontro morì uno dei prigionieri (Gherardini). Infine, giunti a Pavullo, i prigionieri vennero fatti sfilare per le vie del paese, poi, una volta trasferiti a Fanano, furono interrogati. Il 27 agosto un gruppo, trasferito a Bologna con Don Monticelli, sarà affidato al carcere di San Giovanni in Monte, da dove i più di loro intorno all’8 ottobre saranno trasferiti prima a Fossoli poi in Germania come lavoratori coatti.

Matricola in entrata al Carcere di San Giovanni in Monte di Don Monticelli. Foto nostra.
Matricola in entrata al Carcere di San Giovanni in Monte di Don Monticelli. Foto nostra.
Matricola del carcere di San Giovanni in Monte in uscita di Don Monticelli.Foto nostra.
Matricola del carcere di San Giovanni in Monte in uscita di Don Monticelli.Foto nostra.

 

Don Monticelli sarà immatricolato al carcere bolognese più tardi, il 5 settembre 1944, probabilmente trattenuto nel frattempo, per una decina di giorni, a disposizione dei Tedeschi nella loro sede di via Santa Chiara 6/3, per essere interrogato e torturato allo scopo di ottenere da lui informazioni utili.

Quindici giorni dopo con Don Mezzetti e altri detenuti, in undici secondo il Carlino, in diciotto secondo Cerere Bagnolati, furono fucilati al Poligono di Tiro di via Agucchi per rappresaglia.

Nel 2015, seguendo una fonte (1), affermavamo che di lui non si era saputo più nulla e che il suo cadavere non era mai stato trovato e probabilmente era stato gettato in una fossa comune. «L’unica notizia della sua morte fu una semplice cartolina postale fatta pervenire tramite posta ordinaria all’Arcivescovo di Modena dal cappellano delle carceri di San Giovanni in Monte, in cui era scritto “Preghiamo per l’anima di don Monticelli” e, sotto, la sua firma e il timbro postale.»

In realtà oggi, dopo aver avuto accesso ad altri archivi, non possiamo più sottoscrivere questa affermazione, dal momento che un atto di morte del giovane sacerdote di Monzone è stato redatto, si suppone a seguito del ritrovamento e del riconoscimento del cadavere.

Don Natale Monticelli, foto posta sulla sua lapide.
Don Natale Monticelli, foto posta sulla sua lapide.

 

A Don Monticelli nel 1979 è stata conferita la Medaglia d’Argento alla memoria, con la seguente motivazione : “ Sacerdote fervido e coraggioso, univa alla pietà cristiana verso i perseguitati e gli oppressi, efficace, generosa azione patriottica, con cui contribuiva ad incrementare l’attività resistenziale delle formazioni partigiane operanti nell’Appennino modenese. Unitamente all’assistenza spirituale, offrì spesso la sua canonica, ospitale rifugio ai bisognevoli del suo aiuto, nonché viveri e mezzi per continuare a condurre in quelle impervie zone la lotta clandestina contro l’invasore. Arrestato, offrì la sua vita in cambio di trenta suoi parrocchiani con lui catturati. Tradotto in stato di detenzione a Bologna, durante un mese di prigionia subì ogni sorta di torture affinché rivelasse nomi e notizie dell’organizzazione. Tali sofferenze non piegarono  il suo animo indomito e sorretto dalla fede. Con ammirevole dignità e fierezza affrontò il plotone di esecuzione. Bologna, 20 settembre 1944.”(“Gazzetta Ufficiale” della Repubblica, n.333 del 6 dicembre 1979, p.9948)

Don Monticelli dunque fu fucilato dalle SS ed appare decisamente destituita di qualunque fondamento la versione di altre fonti sul web secondo cui Don Natale Monticelli farebbe parte della lista di sacerdoti uccisi da componenti di bande partigiane per vendetta personale o per aver criticato le azioni compiute dalla “Resistenza Rossa”.

Possiamo aggiungere oggi, 25 aprile 2020, grazie ad una mail che ci ha spedito da Bergamo il Sig. Andrea Gandolfi, che Don Monticelli riposa nel cimitero di Verica (Pavullo nel Frignano- Modena), dove fu sepolto nel dopoguerra. Il Sig. Gandolfi nella sua mail ci ha riportato la testimonianza di suo padre, sig. Gandolfi Luigi, che ne vide il corpo massacrato per le torture subite durante gli interrogatori,  quando la salma del giovane sacerdote fu traslata nel suo paese per l’inumazione.

Noi abbiamo visitato il quieto e silenzioso camposanto di Verica, collocato di fianco alla chiesa parrocchiale e non abbiamo fatto fatica a trovare la sua tomba, situata a pochi passi dall’ingresso, dove Don Natale riposa in una sepoltura, nella quale anni dopo fu collocata anche la madre.

La tomba di Don Monticelli a Verica
La tomba di Don Natale Monticelli nel piccolo cimitero di montagna di Verica (MO), in cui è inumato insieme alla madre.

 

(1) www.bibliotecapersicetana.it

 

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