Due sacerdoti tra le vittime della rappresaglia.

La prima fucilazione per rappresaglia di detenuti prelevati dal carcere cittadino di cui si fornì solo un’informazione parziale, tacendo i nomi delle vittime (ben conosciuti, perché immatricolati), fu proprio questa del 20 settembre 1944. Le ragioni di questo silenzio oggi appaiono evidenti, quando si scorra l’elenco dei nomi dei fucilati: due di loro erano sacerdoti.

Il 20 settembre del ’44 fu infatti la prima volta che ad essere colpiti dalla pena capitale nella nostra provincia, vittime di rappresaglia, furono due membri del clero e ciò non poté avvenire senza che la decisione fosse stata ponderata nelle implicazioni e nelle conseguenze da parte delle autorità italiane e germaniche, non necessariamente con le stesse valutazioni. Chi decise ed effettuò l’esecuzione furono comunque le autorità tedesche e dobbiamo supporre per forza che nel comprendere tra le vittime anche degli ecclesiastici, ci fosse la volontà di dare un “segnale” forte alla Chiesa, (locale o nazionale, si tratterebbe di discutere).

Chiesa modenese e bolognese sotto tiro.

Che la chiesa fosse entrata nel mirino della Militarkommandatur (ricordiamo, di Bologna e Modena)  e dei fascisti, c’erano già stati indizi impliciti ed espliciti ripetuti e insistiti precedentemente, tra la fine del ’43 e l’inizio del ‘44.

In generale possiamo dire che se probabilmente il regime fascista non arrivò mai a sperare in un qualche appoggio della Chiesa alla Repubblica Sociale Italiana, consapevole che certe confluenze intervenute nel corso del Ventennio non potevano più essere reiterate dopo l’8 settembre ‘43, tuttavia però forse non si aspettava, al di là delle dichiarazioni diplomatiche e/o prudenti delle istituzioni ecclesiastiche, quel che avvertì tangibilmente : l’aperta ostilità di tanta parte del clero e l’attiva opera antifascista di tanti sacerdoti e cattolici.

Un elemento particolarmente grave di disturbo per le autorità fasciste repubblicane fu senza dubbio il ruolo svolto da molti parroci, specie sul nostro Appennino e/o nelle piccole comunità, nella scelta fatta da tanti giovani di non rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò. La rivista “Il regime fascista del 30 novembre 1943, rivolgendosi all’Azione Cattolica, affermava: «In un’ora così tragica non si può, (…), incitare i giovani all’assenteismo, alla diserzione, all’anarchia…», mentre il periodico “La valanga repubblicana” n.17 dell’8 ottobre del ’44 (1) riferendosi al clero modenese, denunciava: «Gli intermediari patteggiano nei confessionali; gli ebrei sono rintracciati nelle chiese; i membri del Comitato di Liberazione si radunano nelle sagrestie. Questo è ormai documentato…» e passava poi ad indicare, con dovizia di riferimenti, casi precisi di incitamento alla renitenza da parte di parroci del modenese, concludendo «Interrogate i giovani che sono fuggiti sulle montagne, domandate loro chi li ha spinti a quella decisione, la gran parte di essi vi dirà un nome solo: il prete!».

Come si è letto, altri due problemi erano additati come azioni ostili da parte cattolica per le autorità nazifasciste: l’aiuto fornito agli ebrei e la ‘contiguità’ rispetto all’attività del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), di cui tanti cattolici e certi pezzi della chiesa divennero poi parte integrante.

Quanto più clero e cattolici si defilarono e infine si misero per traverso, tanto più la reazione delle autorità repubblicane e germaniche imboccò la strada della repressione, sia della stampa cattolica, dalla mancata fornitura di carta fino alla chiusura, sia delle persone, con arresti, deportazioni, fucilazioni.

 

(1) Citata in E.Gorrieri La Repubblica di Montefiorino, pag. 227-228.

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