Il processo.

L’istruttoria del processo contro i dirigenti del P.d.A. fu accompagnata da violenze fisiche e psicologiche, tanto che lo stesso Tartarotti nel suo interrogatorio, affermò di essersi dissociato dal trattamento riservato soprattutto a Massenzio Masia, rifiutandosi di assumersene personalmente il compito. A causa delle torture, Massenzio Masia cercò di suicidarsi in due occasioni, senza riuscirci: prima ingoiando alcune pastiglie di cianuro di potassio nella sede dell’ U.P.I. (ufficio politico investigativo), in seguito gettandosi a capofitto da una finestra del secondo piano. In queste stesse condizioni, con le gambe e la schiena offese, peraltro, fu condotto al processo e davanti al plotone d’esecuzione.

Il processo ebbe luogo il 19 settembre 1944, davanti al Tribunale Militare Straordinario di Guerra, e fu presieduto dal generale Gherardo Magaldi, che negò agli avvocati difensori M. Magnarini, G. Vandelli, G. Bertini, R. Cappello, T. Di Giorgio, U. Bottiau e S. Stoppato, la possibilità di prendere visione degli atti processuali, concedendo solo cinque minuti ognuno per l’arringa difensiva, dopo aver anticipato che non avrebbe tollerato critiche al regime.

L’accusa, affidata ad Antonio Mangione e a Giovanni Cosimini, non subì invece alcuna limitazione. Gli imputati nel frattempo si erano ridotti a diciannove, in quanto Enrico Bernardi era riuscito ad evadere, Nazario Sauro Onofri era stato rilasciato in quanto minorenne e Iolanda Benini

Il processo
Archivio di Stato di Bologna- verbale dell’interrogatorio a Tartarotti contenuto nel fascicolo a suo nome, foglio 14.

 

era stata prosciolta. Gli imputati presenti al processo, in particolare Quadri e Masia, mostravano evidenti i segni delle torture subite, ma agli avvocati che cercarono di rilevarlo fu tolta la parola, come da precedenti ammonimenti,  perché la denuncia fu considerata critica al regime.

Il processo fu una farsa, la sentenza che fu letta era stata già decisa con tutta evidenza in sede politica perché la seduta in camera di consiglio durò appena una decina di minuti.

Vennero condannati a morte, per aver promosso “l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato mediante l’arruolamento e l’armamento di cittadini”, in otto : Massenzio Masia, Armando Quadri, Luigi Zoboli, Pietro Zanelli, Sario Bassanelli, Mario Giurini, Arturo Gatto e Sante Caselli.

Zanelli e Bassanelli furono condannati alla fucilazione alla schiena, previa degradazione, perché entrambi ufficiali. Tutti gli altri vennero invece condannati alla fucilazione al petto.Per tutti la sentenza fu eseguita  il 23 settembre 1944, al Poligono di tiro a segno, in via Agucchi. La notizia venne resa nota il 25 settembre da un articolo apparso su Il Resto del Carlino.

Gli altri undici furono condannati a varie  pene detentive : Sabbadini a 30 anni di reclusione, Canè a 11 anni, Ramazzotti e Forni a 9 anni, Di Domizio a 8 anni, Alberto Zoboli a 7 anni,  Gino Onofri e Canova a 6 anni, Zanetti a 2 anni, Leda Bastia a 10 mesi.

 

Il processo
Tomba di Armando Quadri e Massenzio Masia – Cimitero della Certosa (BO)

 

Furono prosciolti invece Jolanda Benini, giudicata estranea ai fatti, Massimo Massei e Nazario Sauro Onofri, figlio di Gino, che allora non aveva ancora compiuto i diciassette anni.

Sei dei condannati all’incarcerazione furono internati nel lager nazista di Mauthausen e cinque, Orlando Canova, Gino Onofri, Anselmo Ramazzotti, Giosuè Sabbadini e Giancarlo Canè, non ne fecero più ritorno. Solo Forni tornò vivo.

Il processo
Archivio di Stato di Bologna- verbale dell’interrogatorio a Tartarotti contenuto nel fascicolo a suo nome, foglio 13.

 

 

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