Nell’estate di sangue la beffa più grande: l’evasione di massa da San Giovanni in Monte

L’estate del ’44 fu densa di episodi sanguinosi, l’abbiamo già detto. Solo un avvenimento si staccò dagli altri per l’audacia con cui fu progettato e il coraggio con cui fu attuato: l’evasione in massa di 340 detenuti, politici ma anche comuni, dal carcere bolognese di San Giovanni in Monte, che in men che non si dica e senza colpo ferire, liberati dal carcere da un drappello di partigiani della 7ª GAP cittadina, si dileguarono silenziosamente per le vie della città, senza che ci fosse una reazione o una contromossa dell’altra parte.

Le autorità fasciste furono così ben consapevoli delle falle dimostrate dal loro sistema repressivo in questa occasione, che tutto fu tenuto sotto silenzio e l’unico indizio che l’opinione pubblica ebbe di quanto successo fu un microscopico articolo apparso sul Resto del Carlino del 12 agosto, che invitava gli evasi a costituirsi.

Nell’estate di sangue la beffa più grande: l’evasione di massa da San Giovanni in Monte
Il breve comunicato apparso sul “Carlino” del 12 agosto 1944 che promette “comprensione”per chi si costituirà. Archivio Istituto Parri

 

Tra i protagonisti di questa temeraria ed eclatante azione ci furono Roveno Marchesini ed Ada Zucchelli, che con ruoli diversi concorsero alla realizzazione del piano di evasione di massa. Ada assolvendo ad un ruolo organizzativo, seppur altrettanto pericoloso, prendendo accordi con i detenuti politici da liberare in carcere, Roveno partecipando in prima persona all’azione della 7ª GAP.

Egli fu infatti uno dei dodici uomini a bordo delle due auto, che intorno alle 22 del 9 agosto del ‘44, si fermarono davanti alle carceri di San Giovanni in Monte, inscenando una recita ad uso e consumo degli agenti del carcere. Tre travestiti da tedeschi (Bernardino Menna “Napoli”, Lino Michelini “William” e Arrigo Pioppi “Bill”), altri cinque con addosso le divise delle brigate nere (Massimo Barbi, Nello Casali “Romagnino”, Bruno Gualandi e Vincenzo Sorbi “Walter”e con loro quattro anche Roveno Marchesini “Ezio”), che fecero passare per partigiani catturati Giovanni Martini “Paolo”, Renato Romagnoli “Italiano”, Dante Drusiani “Tempesta” e Vincenzo Toffano “Terremoto”.

I due agenti in servizio abboccarono e aprirono la porta del carcere per farli entrare. Otto partigiani si fecero strada, contenendo la reazione  dei  secondini, altri quattro rimasero fuori di guardia (Gualandi, Casali, Michelini e Barbi), immobilizzando alcuni agenti, ma nella concitazione del momento  per la reazione di una guardia venne ferito ad una gamba “William”, Lino Michelini.Tagliati i fili del telefono, gli uomini della 7ª brigata GAP aprirono tutte le celle della  sezione  maschile  del  carcere e pur nello sconcerto di tanti, non  avvisati del tentativo di liberazione, delle modalità con cui si sarebbe svolto e degli uomini che lo avrebbero attuato, in men che non si dica più di trecento detenuti si dileguarono zitti zitti per le strade notturne e buie di Bologna.

Il portone della caserma dei carabinieri pontifici, poi trasformata nel carcere di San Giovanni in monte, chiusa nel 1987. Storia e memoria di Bologna.
Il portone della caserma dei carabinieri pontifici, poi trasformata nel carcere di San Giovanni in Monte, chiusa nel 1987. Storia e memoria di Bologna.

 

 

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